giovedì 30 marzo 2017

Elle (Verhoeven 2016)

Paul Verhoeven ha girato un bel noir psico-sociologico tra Chabrol, Hitchcock e Buñuel... una triade di influenze che rende Elle un film davvero imperdibile per ogni cinefilo e che ha meritato i Golden Globe come miglior film straniero e, naturalmente, miglior attrice protagonista!
L'adattamento del romanzo di Philippe Dijan, Oh... (2012), con l'ottima sceneggiatura di David Birke, mostra una borghesia francese irrisolta, capace di passare sopra la morale con assoluta leggerezza, il tipo di società che Chabrol ha raccontato come nessun altro, trattata con l'ironia e quel senso di irrecuperabilità che è tutto buñueliano; una protagonista fredda, cinica e con delle forbici riprese direttamente da Il delitto perfetto (Hitchcock 1954), ma c'è molto di più...
Lo straordinario inizio in campo nero, da cui emergono gli occhi dello splendido gatto Marty che osserva impassibile la violenza sessuale subita dalla sua padrona Michèle (Isabelle Huppert), è seguito dalla lucidità della vittima che subito dopo getta via i vestiti, fa un bagno eliminando le tracce di sangue dalla schiuma nella vasca con la stessa facilità con cui sembra superare quanto le è accaduto e poi ordina la cena da un ristorante giapponese.
Michèle Leblanc è una donna in carriera e dirige, insieme alla socia Anna (Anne Consigny), un'importante azienda di videogiochi; single, separata da Richard (Charles Berling) e madre di Vincent (Jonas Bloquet), ha avuto un'infanzia devastata dal pluriomicidio del padre, Georges, condannato all'ergastolo e che non vede da decenni, nonostante sua madre, Irène (Judith Magre), vorrebbe lo andasse a trovare. La sua forte e algida personalità la porta a controllare tutte le relazioni sociali: è in grado di essere la migliore amica di Anna e al tempo stesso di fare sesso con il marito Robert (Christian Berkel); è lei a fare il primo passo per conoscere la nuova fiamma di Richard, Hélène (Vimala Pons); si scontra con Vincent in maniera frontale poiché lo reputa "accalappiato" da Josie (Alice Isaaz), fidanzata opportunista, e ai due non lesina nemmeno un durissimo "vi rendete conto che avere un figlio è solo sofferenza?"; non perde occasione per colpire Irène, che ha scelto come compagno un ragazzo, Ralph (Raphaël Lenglet), che potrebbe essere suo figlio, fino ad arrivare a dirle “ma come fai a essere così grottesca?”
Michèle, complice quanto le è successo da bambina, è questo tipo di donna, incapace di scomporsi di fronte a qualunque azione propria e degli altri, cosicché esprimono bene la sua personalità linee di sceneggiatura come "la vergogna non è un sentimento così forte da impedirci di fare tutto" o lo scambio di battute con Anna, pronunciato senza la minima inflessione sentimentale, "mi andava di scopare" "è ignobile" "anche peggio".
Solo alla luce di battute come queste diventa comprensibile come sia in grado di reagire in quel modo allo stupro subìto e, già dal mattino dopo, chiedere orgasmi più realistici in un videogioco su cui i programmatori stanno lavorando.
Chi altri avrebbe potuto interpretare una donna torbida, ambigua, amorale e cupamente ironica come questa se non Isabelle Huppert, la cui carriera è costellata da personaggi simili e che infatti appare completamente a suo agio per tutto il film? Penso istintivamente soprattutto ai suoi ruoli per Chabrol, e in particolar modo a Il buio nella mente (1995) o a Grazie per la cioccolata (2000), ma anche a La pianista di Haneke (2001). Senza di lei Elle è inimmaginabile (e pensare che inizialmente era stato proposto a diverse attrici di Hollywood), la sua recitazione rende tutto più credibile anche in una pellicola che non si cura affatto della verosimiglianza (c'è qualcosa di più hitchcockiano?), persino la sua ironia nei confronti del gatto, "non dico di cavargli gli occhi, quantomeno potevi graffiarlo" ripete a Marty riferendosi al violentatore; o del marito, a cui in un momento di gelosia spiega la netta differenza tra il proprio ultimo fidanzato e la sua nuova ragazza: "lui rispondeva a tutti i criteri, sposato con tre figli, lei è una giovane nubile in età riproduttiva!"
Il suo cinismo e la sua energica risolutezza si fanno ancora più spietati quando messaggi via mail o per sms, nonché un montaggio video che la immortala in un personaggio dei suoi videogiochi, le dimostrano che in ufficio qualcuno potrebbe essere l'uomo che sta cercando: si dota di uno spray urticante e di un martello che userà contro la persona sbagliata, così come farà abbassare i pantaloni ad un giovane collega un po' imbranato e invaghito di lei, dimostrando di ricordare anche dettagli fisici del corpo che l'ha violentata.
Anche le immagini che decorano la sua casa dicono molto di Michèle, che ha appesi al muro una riproduzione della Maja desnuda di Goya (Madrid, Prado, 1800), da sempre simbolo di audacia e disinibizione che le si adattano perfettamente, e un poster della rivista francese di fumetti fanta-horror Métal Hurlant, nata negli anni '70 e che nel decennio seguente ebbe voce in capitolo anche sul mondo dei videogiochi. 
Paul Verhoeven torna sulle tematiche di una sessualità non tradizionalmente intesa, come ha spesso fatto in passato (si pensi ad esempio a Basic Instinct - 1992), rivelando che per lui "essere controversi non è qualcosa che scegli di fare a tavolino, è la voglia di non censurarsi mai". La sua regia è puntuale e chirurgica come la protagonista: la sua asciuttezza è interrotta dai soli flashback in cui Michèle, per esempio, immagina di fracassare il cranio del suo aggressore a colpi di telefono, per poi tornare alla realtà e, in clamoroso contrasto, provare a salvare la vita di un uccellino togliendolo dalla bocca del suo gatto. 
Tornando alle note alla Chabrol di Elle, la scena madre della cena natalizia che Michèle organizza in casa riunendo tutti i personaggi del film, tutti colpevoli nelle proprie ipocrisie, potrebbe essere stata girata dal maestro francese (anche se la cena borghese rimanda inevitabilmente a L'angelo sterminatore - Buñuel 1962), per l'equilibrata mescolanza tra tensione e ironia, in una serata che unisce scontri, dispetti, seduzioni, rivelazioni, annunci, momenti drammatici, scene saffiche e le inaspettate pratiche religiose della vicina Rebecca (Virginie Efira).
Oltre alle influenze citate, il personaggio di Irène sembra arrivare direttamente da un film di Almodovar, e c'è spazio anche per un monumento cinematografico francese, quando il vicino Patrick (Laurent Lafitte), dopo aver sventato una nuova aggressione di un malintenzionato, parla di un look in calzamaglia e cappuccio da "maniaci delle serie tv", che fa chiaramente pensare al capolavoro del muto di Louis Feuillade, Fantomas (1913-14, 21 episodi).
E, infine, l'inquietante immagine di Michèle bambina nei filmati d'epoca mandati in onda dalle trasmissioni televisive sul padre per i 40 anni di quella strage, la mostra con una fissità nello sguardo che ricorda la Carrie interpretata da Sissy Spacek nell'omonimo film che De Palma, per una virtuosa coincidenza, girò proprio nel 1976, anno in cui, nella storia raccontata, Georges Leblanc aveva commesso la sua strage a Nantes...
Verhoeven ha dichiarato ai Cahiers du cinema "siamo tutti psicotici", come dargli torto?

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