giovedì 6 ottobre 2016

I cancelli del cielo (Cimino 1980)

Il film maledetto per antonomasia: solo citarlo dalle parti di Hollywood per anni è stato sinonimo di iattura. Ciò che accadde attorno a questa pellicola distrusse buona parte della carriera di Michael Cimino e portò al fallimento la United Artists (secondo alcuni già preventivato da chi usò I cancelli del cielo e il suo regista come un'arma).
Dopo il successo di Una calibro 20 per lo specialista (1974) e soprattutto quello enorme de Il cacciatore (1978) con i suoi cinque Oscar, il regista americano decise di dar vita ad un ambizioso progetto, riprendendo un soggetto che aveva abbozzato quando era arrivato a Los Angeles nel 1970, intitolato The Johnson County War, ma che ai tempi non aveva destato grande interesse...
Lo scontro tra Cimino e la produzione fu immediato, la sua fama di perfezionista e di regista incapace di accettare compromessi era già nota dopo Il cacciatore, ma stavolta dà il peggio di sé: il budget pattuito di 7 milioni sale subito a 12; dopo il rifiuto di Diane Keaton e Jane Fonda per il principale ruolo femminile, sceglie una giovanissima Isabelle Huppert, mai stata ad Hollywood, e che non convince nessuno tranne lui che si impone "o lei o il film non si fa"; dopo i primi sei giorni di riprese il programma è già in ritardo di cinque; rigira delle scene anche 50 volte; fa costruire scenografie che una volta portate a termine non gli piacciono, così decide di abbatterle e farle diversamente; il budget sale ancora, arrivando prima a 20 e poi ad oltre 40 milioni. La rottura è totale, ma la United Artists decide di andare avanti, mentre Cimino esclude dal set tutti i membri della produzione e i giornalisti.
Uno di questi, però, Les Gapay, si fa assumere come comparsa e dall'interno scrive un articolo per il Los Angeles Times che si abbatte con violenza su I cancelli del cielo e sul suo regista...
Cimino, alla fine delle riprese e dopo tre mesi di montaggio, mostra la sua opera, che dura circa cinque ore e mezzo: la produzione lo obbliga a tornare in cabina per ridurlo della metà, pena l'affidamento del montaggio a qualcun altro. Si arriva al compromesso di tre ore e quaranta.
Come raramente, se non mai, è accaduto nella storia del cinema, le recensioni dei giornali statunitensi sono unanimamente negative. Il film inanella un'infinita serie di stroncature, che parlano di narrazione evanescente, personaggi pessimi, continue scene di danza (in realtà se ne contano due, peraltro molto belle), attori mediocri, regia e montaggio pessimi. Come pietra tombale sulla pellicola può essere citata una frase della famosa recensione di Vincent Canby per il New York Times, in cui si legge “è un film così sbagliato da far sospettare che Michael Cimino abbia venduto l’anima al diavolo per ottenere il successo de Il Cacciatore, e che ora il diavolo sia venuto ad incassare”. 
La pellicola viene ritirata prima dell'uscita ufficiale su proposta di Cimino stesso, che riduce ancora la lunghezza fino a due ore e quaranta. Nelle sale va malissimo ed è un clamoroso flop, che porta la United Artists a perdere qualcosa come quaranta milioni di dollari, mentre in Europa il film viene apprezzato...
Il grande difetto? Forse quello di aver girato un grande affresco sugli Stati Uniti dal punto di vista degli sconfitti, un ribaltamento che non poteva essere perdonato al suo regista. Siamo negli anni della conquista del west, il momento più epico della storia americana, decidere di inserire una macchia nella gloriosa "nascita di una nazione" non fu gradito ai più... 

Ma veniamo al film.
L'ultimo trentennio dell'Ottocento viene raccontato attraverso le vite di James Averill (Kris Kristofferson) e William C. Irvine (John Hurt), compagni di college ad Harvard, classe 1870, che una ventina d'anni dopo si ritrovano in fazioni opposte nella città di Casper in Wyoming: maresciallo della contea di Johnson e strenuo difensore di una comunità di immigrati europei il primo, membro dell'associazione degli allevatori il secondo, pur se poco convinto delle posizioni violente del suo gruppo capitanato da Frank Canton (Sam Waterston), che propone di uccidere gli immigrati arrivando ad ottenere persino il consenso del presidente degli Stati Uniti.
In una pellicola di grande respiro come questa, trovano posto altri importanti personaggi, tra cui soprattutto Ella Watson (Isabelle Huppert), prostituta che gestisce un bordello nel piccolo centro, combattuta tra l'amore per James, che vive alla giornata senza garantirle un futuro sicuro, e per Nathan 'Nate' Champion (Christopher Walken), mercenario degli allevatori, che invece sarebbe disposto a sposarla.
John L. Bridges (Jeff Bridges) è uno degli immigrati più in vista, amico di James, organizza combattimenti tra galli per le scommesse, ma soprattutto a lui si deve la costruzione della grande pista di pattinaggio che dà il titolo al film (Heaven's gate), dove, tra l'altro, si riuniscono in assemblea tutti gli europei di Casper. 
Altri piccoli ruoli sono destinati ad attori ormai al tramonto, come il grande Joseph Cotten, che interpreta il reverendo di Harvard che tiene il discorso di fine anno agli studenti appena laureati, o a giovanissimi attori come Mickey Rourke, che impersona uno degli amici di Nate.
James è il protagonista assoluto della storia e a lui spetta gran parte delle battute più epiche del film. È un ricco dalla parte dei deboli; si scontra con Canton e, a differenza di William, che si limita a contraddirlo senza avere la forza di opporglisi davvero, lo colpisce dopo avergli detto "non sarai mai della mia classe", quando Canton gli ricorda che appartiene al suo stesso ceto sociale. È ancora lui a giudicare Nate per il suo assurdo sostegno agli allevatori: "spero che abbia capito per che razza di gente lavori. Il bello è che voi eravate dalla parte della legge, ora l'avete buttata".
James è profondamente disilluso sulla vita al punto da dire all'amico William "chissà perché si fanno le cose"; è capace di essere felice solo nel presente ed è costantemente pensieroso, tanto da sentirsi dire da Ella "non riesco a capire come si faccia a pensare tanto".
Nate è l'opposto di James, quasi analfabeta, povero, vive in una casa di legno che riveste di giornali a mo' di carta da parati per darle un tono di signorilità. Il suo lavoro da mercenario è giustificato in qualche modo dal bisogno di soldi.
Tra di loro c'è Ella, un personaggio femminile straordinario, in cui ci sono almeno tre donne diverse: una prostituta, una donna pronta a diventare moglie, una guerriera che combatte con coraggio.
Ovviamente è sempre James che nell'Heaven's Gate legge la lista nera dei 125 uomini che gli allevatori hanno deciso di uccidere, in una delle scene madri dell'intero film.
Gli immigrati non vogliono essere colpiti indiscriminatamente e precisano "non siamo tutti anarchici e criminali", una frase che suona come condanna del razzismo inteso come dozzinale qualunquismo che tende ad attribuire ad interi popoli i difetti che caratterizzano solo alcuni dei loro membri.
Un film profondamente politico, nonostante la disillusione e la malinconia ben sintetizzata dal finale in cui, dieci anni dopo la battaglia della contea di Johnson, lo stesso James, invecchiato, è sul suo yacht nel Rhode Island al fianco della moglie, nel cui volto è facile riconoscere la ragazza che avevamo visto da giovane ad Harvard e in una foto tra gli effetti personali di James. È in fondo una ricchezza triste, il sogno americano ridotto a indolenza aristocratica, e quel che più conta ottenuto sulle vite dei più deboli...

Cimino gira numerose sequenze di alta qualità registica: le scene negli interni sono spesso tagliate da fasci di luce solari; la prima apparizione di Nate lo mostra sparare da un buco in un lenzuolo steso ad un uomo che sta lavorando su un bovino squartato: il risultato è una sorta di natura morta con l'uomo inscritto tra le zampe dell'animale appeso. Meritano una menzione, naturalmente, le due sequenze di ballo: quella del valzer iniziale per i festeggiamenti ad Harvard e soprattutto la "danza pattinata" al suono di musiche dell'est europeo che si svolge all'interno dell'Heaven's Gate. E così i momenti di battaglia vera e propria: l'assalto alla casa di Nathan, paragonabile per la forza e la durezza al massacro finale de Il clan dei Barker (Corman 1970), al primo Scarface (Hawks 1932) o, ovviamente, anche a quello di Gangster Story (Penn 1967); e soprattutto la lunga sequenza dello scontro tra allevatori e immigrati, con innumerevoli dettagli da mandare a memoria e James che sfrutta la conoscenza della storia romana facendo costruire ai suoi dei carri schermati da tronchi d'albero che permettono di avanzare anche sotto il fuoco nemico. 
I grandi spazi, degni del cinema western, non mancano affatto, con una netta predilezione per i paesaggi di montagna, a cui Cimino è sempre stato particolarmente legato. 
Un'ultima curiosità: l'espressione oggi spesso abusata di director's cut nacque proprio in relazione a I cancelli del cielo, quando nel 1982 Z Channel, un canale a pagamento statunitense, lo programmò per la prima volta nella versione di tre ore e quaranta vista in anteprima dai giornalisti e dalla produzione nel 1980. In realtà però è difficile considerare quella la reale versione del film voluto da Cimino, che montò anche quella più breve di un'ora e, soprattutto, quello di cinque ore e mezzo. 
Nel 2012, però, ad oltre trent'anni dal disastro, il regista di New York ha rimesso definitivamente mano alla pellicola e ha licenziato un'ultima versione di 216 minuti, che è di nuovo stata presentata ai festival ed è tornata in sala.
Che si tratti di un capolavoro è evidente in tutte le sue riduzioni, ma è bello sapere che prima della propria scomparsa Michael Cimino ci abbia lasciato l'idea finale di un film così importante per l'intera storia del cinema!

Nessun commento:

Posta un commento