sabato 30 maggio 2015

Forza maggiore (Östlund 2014)

Una famiglia trascorre una settimana bianca sulle Alpi francesi: i giorni di vacanza, lontani dalla vita quotidiana in cui il lavoro dei genitori e gli impegni dei bambini la fanno da padroni, possono essere una buona occasione per stare tutti insieme, ma provare a farlo non sempre garantisce i risultati attesi...
È possibile riassumere così il soggetto del film che Ruben Östlund ha presentato a Cannes lo scorso anno, dove si è aggiudicato il premio Un certain regard. In rigoroso ossequio alle categorie aristoteliche, l'intera storia si svolge in una settimana (unità di tempo), tra le piste di sci e l'albergo sulle Alpi francesi (unità di luogo), in cui sono ospiti Tomas (Johannes Kuhnke) e Ebba (Lisa Loven Kongsli), con i figli Vera e Harry (Clara e Vincent Wettergren).
Le difficoltà della giovane coppia sono già preannunciate alla reception, dove i due incontrano Charlotte (Karin Myrenberg), una donna sposata ma in vacanza da sola, per prendersi una pausa da figli e marito, e a cui Ebba guarda con invidia. La crisi tra Tomas e Ebba, però, è sancita da quella che è indubbiamente la scena madre del film, attorno a cui ruota tutta la vicenda: durante un pranzo in pausa dalle piste, una valanga raggiunge la terrazza su cui molti turisti - compresa la famiglia protagonista - stanno mangiando, e Tomas, dopo aver tentato di rassicurare moglie e figli che il fenomeno sia controllato e previsto, si spaventa e corre via lasciando gli altri tre per poi tornare poco dopo sminuendo l'accaduto.
Da questo momento in poi, la coppia, già in bilico, si allontana, ma a percepirlo saranno prima i bambini dei due adulti. L'approfondimento psicologico della sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, è notevole e di ogni personaggio seguiamo la diversa reazione all'incidente scatenante, quell'elemento fondamentale in narrativa da cui scaturisce tutto lo sviluppo della trama. Così il piccolo Harry è il più diretto, e prorompe in un "tu e la mamma non dovete divorziare", urlato al padre, che non lascia dubbi sulle sue paure; la primogenita Vera è rabbiosa ma tiene tutto dentro; Tomas nega ostinatamente di essersi allontanato nel momento di pericolo. È Ebba, però, la reale protagonista: è lei che vive il dissidio interiore più forte; è lei ad essersi sentita abbandonata dal proprio uomo nel momento del bisogno; è lei ad aver fatto da chioccia e aver protetto i bambini, ed è ancora lei che in qualunque conversazione successiva non riesce a fare a meno di raccontare questa storia, sottolineando il comportamento di Tomas, tra l'imbarazzo degli altri interlocutori.
C'è tanto Haneke in questo film svedese, che si palesa negli sguardi dei due bambini, ma soprattutto in questo imbarazzo sociale che si fa insopportabile dopo il confronto con una coppia di amici, costituita da Mats (Kristofer Hivju) e dalla sua giovane compagna Fanni (Fanni Metelius). È questo il momento in cui Ebba perde il controllo e Mats tenta di filosofeggiare citando la "forza maggiore" che avrebbe spinto l'amico a mettersi in salvo. A spezzare il momento di massima tensione irrompe, però, proprio come se fossimo in un film del regista austriaco de Il nastro bianco (2009), un drone nella stanza in cui sono riuniti i quattro amici, fino a quel momento teatro di un processo che per ambientazione e per numero e tipologia di personaggi fa tanto pensare anche a Carnage (Polanski 2011).
Provare a sciare un giorno a testa lontano dall'altro non aiuterà a risolvere l'attrito tra Tomas e Ebba, mentre quest'ultima si troverà di nuovo a confrontarsi con Charlotte, che le illustrerà il segreto della stabilità del suo rapporto matrimoniale, libero e che non preclude relazioni transitorie come quelle che lei sta vivendo in quei giorni di vacanza. Per la morale di Ebba questa via non appare percorribile e la distanza dal marito potrà essere colmata solo grazie ad un'azione che possa, quasi algebricamente, annullare quella che ha determinato la deflagrazione della crisi.

Östlund gira con grande perizia, sia negli interni, dove i corridoi e gli spazi vuoti dell'albergo sembrano set perfetti per Wes Anderson, Sorrentino e, ovviamente, Kubrick, sia negli esterni, dove, aiutato dal luogo, filma splendide sequenze in cui la neve e il cielo diventano tutt'uno e l'immacolatezza dei paesaggi contrasta con i sentimenti dei personaggi.
Bellissima, inoltre, anche la sequenza cromaticamente opposta a tutto questo: si tratta del notturno nel quale vediamo Tomas e i bambini far volare un drone guidandolo dalla stanza d'albergo. L'inquadratura è fissa e al suo interno c'è solo tanto buio interrotto dall'edificio con le luci delle camere, dalle stelle e dalle spie del drone che si muove sullo schermo come in un videogioco degli anni '80. 
L'immagine simbolo della crisi e allo stesso tempo del riavvicinamento della coppia, inoltre, è tutta nell'abbraccio dei figli al padre piangente, a cui si unisce non senza esitazione anche Ebba, in una configurazione che può ricordare La famiglia di Egon Schiele (1910), uno dei grandi rappresentanti della secessione viennese e, dopo Haneke, altro punto di riferimento che Östlund sembra ricavare dalla cultura visiva austriaca.
Su tutto il film aleggia, infine, la bella e classicissima colonna sonora di Ola Fløttum (ascolta), a cui si aggiungono le Quattro stagioni di Vivaldi, in un insieme che fa da perfetto contrappunto alla tensione che si respira...

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